Archivio Curio Mortari
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Caro Montanaro,
un uomo, e specialmente uno scrittore ha gli anni dell'ultima amante che ha avuto. Ma tu sai quanto sia difficile precisare l'età d'una donna… Questo dato ti serva, comunque, per la mie feda di nascita.
Dove sono nato? In un monastero. Un illustre monastero benedettino fondato nel 1200 da Tedaldo di Canossa. Mia madre mi diede alla luce - in tempo di villeggiatura - una mattina d'agosto nel Cenobio di San Benedetto in Po-Livone, che papa Paolo IV aveva definito, visitandolo: «Admirabile valde». Non credere per questo che io sia stirpe di frati. L'ala del Monastero in cui nacqui apparteneva alla mia famiglia materna ed era stata trasformata nelle più strana ed illustre delle magioni. Ad ogni modo non pensare che io dia delle indicazioni ai posteri per una lapide commemorativa. Ti aggiungerò soltanto che mentre io nascevo, un fanfara di soldati, che avevano levate le tende, si allontanava verso quell'Est, in cui io dovevo combattere e rimanere gravemente ferito dal ferro degli «honved» 25 anni dopo. Quella stessa mattina mio padre mise sotto la mia testa a mo' di guanciale, tre volumi in cui - per quanto abbia indagato - non sono riuscito a sapere il nome. Senza dubbio essi erano i volumi del mio Destino.
Lasciami parlare un po' del mio borgo. Esso conta 14.000 anime, è annotato nel Larousse, possiede una chiesa monumento nazionale, è quotidianamente visitato da turisti di tutto il mondo, ed ha visto - sotto le cocolle monacali - principi e duchi, italiani e polacchi, tedeschi e francesi e persino giapponesi… Esso è dunque, come puoi ben comprendere, un piccolo centro cosmopolita, la cui tradizione discende dai secoli di ferro.
Possiede un paio di campanili gotici, stormi di gufi e di pipistrelli, le più grandi e rosse lune del Sud ed è chiuso, come in un'ansa enorme, dal Po, che qui è più selvoso e più selvaggio. Una popolazione rude e bronzata popola i campi. Sono effervescenti italiani che, per tradizione, emigrano nelle Americhe e rimpatriano, portando seco pesos, dollari e donne. C'è quindi, nella loro discendenza, il sangue di qualche principessa pellerossa e di qualche minatore del Klondike. Ciò ti spiega i loro cappelli a melone, le loro camicie rimboccate, i loro pugni pronti al pugilato e alla pistola, le loro donne dagli occhi intensi, feconde come carpie, e il loro vanto di domatori di cavalli. Splendidi combattenti, hanno data una percentuale altissima ai reparti d'assalto nella grande guerra.
Tutto ciò potrà forse spiegarti la mia inclinazione avventurosa, i mie slanci e i mie misteri e ti decifrerà il segreto del mio volto rudemente segnato e della mia fronte-rebus.
Ho sempre disprezzato il danaro ed ho adorato l'amore. A vent'anni amavo follemente ed ero riamato da una ereditiera delle mie terre, bella come una madonna tizianesca. Ci fidanzammo in segreto. Ma il giorno in cui le ricchezze della mia futura moglie, mi parvero d'imbarazzo ai mie sogni, con una decisione che alla mia stessa donna rimase incomprensibile, ruppi con grande scandalo il fidanzamento e partii con una bellissima rumena che faceva parte d'una carovana di zingari. Questa vita durò tre mesi e in questa vita conquistai completamente il senso della mia personalità. Il romanzo che illuminerà questa fase della mia vita si intitolerà «Carovana» e lo sto preparando.
Dovendo rientrare nei quadri della vita civile scelsi la professione più arrischiata, più inquieta, più errante: quella che ha dato al mondo, in questo ultimo secolo, la più alta percentuale di scrittori e di dominatori: il giornalismo. Questa professione mi ha permesso, in pari tempo, di svolgere la mia multiforme attività di poeta e scrittore, di cui soltanto ora la novissima generazione sente l'importanza e la radioattività.
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Ti risparmio gli episodi della mia vita. D'altra parte essi traspariranno in gran copia nelle pagine che sto per scrivere. Non anticipiamo. Ma ti debbo confessare che io ho vissuto due esistenza ben distinte. La prima si può chiamare «Nord»: e cioè ermetismo, tristezza, passioni raffinate, viaggi misteriosi nei paesi del freddo, del Romanticismo, fino al Circolo Polare Artico: principesse languenti di tisi in sleepings foderati di damasco, bambole, nevi su cupole d'oro, tuberose e baionette, Vienna e l'Isonzo, le trincee slave di Tolmino e le distese ghiacciate di Arcangelo. Avrei dovuto morire: ma nè il ferro, nè il fuoco, nè l'amore riuscirono a stroncarmi. Ora sono un altro. Devo essere un altro.
La seconda parte della mia vita, quindi, si chiama «Sud». Intorno a questo nome scintillante, succulento, foglioso, eminentemente italico (l'Italia è il simbolo di tutte le civiltà, le quali non possono essere che meridionali) io raggruppo anche tutto il mio programma letterario, che è anche il manifesto dell'espansione italica dal 44° parallelo in giù verso i paesi del colore e del calore, verso le popolazioni nude dei tropici. Quindi viaggi attraverso il mondo e creazioni di nuove generazioni di pionieri. Amore del lontano, dell'esotico, dell'inesplorato.
Ho gettato il mio frak di prima, il gibus 8 riflessi, le mie scarpe di coppàle foderate di raso viola, ed ho adottato la camicia rimboccata, i calzoni bianchi e le scarpe da tennis.
Ho ermeticamente chiuso il mio passato in una cassaforte nibelungica e l'ho rotolato nell'azzurro Mediterraneo.
Ho lasciato il raffinato suggello a imprimere sulla nera ceralacca della decadenza, per la guida della falciatrice meccanica.
Basta con gli scetticismi idioti, coi cinismi refrigerati nel vuoto, con le storie di garçonnieres. Bisogna spazzare via tutta questa roba e tutta questa gente, che si mette le dita nel naso. E' necessario ritrovare i grandi principii solari e istintivi della vita. Ciò farà terribilmente incocciare i cerebrali che grideranno al luogo comune. Ma tu comprendi invece, amico mio, che tutto ciò sta per diventare molto originale. Ci sono troppi geni.
Si è creato, per esempio, attraverso i tempi, il tipo del viveur spregiudicato e cinico che ruba le donne agli altri, fa dei duelli, fa dell'ironia. Ma è ovvio che si tratta di vigliaccheria mascherata, giacchè per ingannare una donna non ci vuole del coraggio ma dell'astuzia; per fare un duello basta anche un imboscato; ed essere ironici è il mezzo stilistico più facile per cavarsela in società. Bisogna avere il coraggio di ristabilie la verità. Ora tu mi insegni che è molto più coraggioso 1) avere dei figli che fare il viveur sterile a spese degli altri; 2) giocare correttamente che barare al gioco; 3) esprimere i propri sentimenti nella loro pienezza che dirli a denti stretti, sogghignando. Questa è dispepsia.
Ora i mie principii non sono soltanto letterari, ma umani.
Tornare la Sud significa quindi tornare alla nostra sincerità di razza sanguigna, ardente e volontaria. Tu comprendi bene tutto il rinnovamento che ne può derivare.
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Quanto agli usi e ai costumi, ai quali questa concezione ci condurrà non allarmiamoci. Saranno un po' rivoluzionari. Io, per esempio, ho abolito il mobiglio tradizionale e vivo sulle stuoie, nutrendomi di carni semplici e di frutti. Amo le donne che non si vestono, perchè ritengo che ciò sia più adatto alla loro natura.
Infatti, anche per quello che riguarda l'abbigliamento, noi andremo verso tempi sempre più succinti. Occorre vivere con la pelle scoperta: è più igienico ed è più proprio alla nostra razza. Le tribù dei paesi caldi passeggiano seminude senza scandalizzarsi.
Così avverrà, tra un quarto di secolo, della nostra razza sincera ed elastica, se essa non smentirà i suoi principii.
Naturalmente tutti i commercianti di tessuti cercheranno di mettere il mondo a soqquadro per imporre la loro morale, che è poi la morale dei loro metri qudri abusivi e non bollati. Ma di quando in qua i coraggiosi, gli ardenti, i costruttori, i poeti, hanno ascoltato i commercianti di tessuti?
Io ti saluto quindi, caro Montanaro, e concludo presentandoti il mio romanzo «Sposiamoci nel Sud» nel quale i lettori e specialmente le lettrici della nuova generazione troveranno questo insegnamento: che l'amore non deve essere fatto in iscatola e che, d'altra parte, la sincerità e l'onestà sono, dopo tutto, le uniche speculazioni che rendono veramente nella vita. Anche perchè ci rendono un po' di quel sogno che gli strozzini del Nord ci avevano astutamente rubato.
Saluti tropicali
Torino, giugno 1927
Curio Mortari